domenica 29 maggio 2011

capitolo 45

Capitolo 45 – Francies



La villa di Malibù era deserta e non vi erano fuochi scoppiettanti o musica ad accogliermi, ma solo in lontananza il costante e perpetuo canto del mare, che come il battito di un cuore, scandiva il divenire dell’intero pianeta al quale aveva donato la vita.
Dolores aveva lasciato in cucina un pasto caldo e nonostante fosse ora di cena, sentivo di non avere alcun appetito.
Erano passate delle ore da quando Robert ed io  avevamo lasciato l’albergo a Beverly Hills ed anche se mi ero tenuta occupata passando a salutare le gentili commesse di Tiffany e a riconsegnare personalmente i misteriosi doni che avevano scelto per Lizzy …il tempo sembrava non trascorrere mai…
Tenevo il telefono sempre accanto a me, come se sentire la sua voce fosse un’esigenza vitale e non volessi rischiare di perdermi un solo istante di quel paradiso …
Ma era invece rimasto muto per tutto il tempo …
e anche se non conoscevo con esattezza l’orario del suo volo …ero sicura ormai che fosse lontano.
Se prima l’attesa era stata quasi gioiosa…ora invece vivevo quel silenzio come un incubo…dal quale non vedevo l’ora di uscire…
Perché?
Continuavo a ripetermi la stessa domanda e pur supponendo mille ragioni…nessuna mi sembrava realmente valida.
Feci scorrere la grande porta a vetro che conduceva alla spiaggia e fui colta da un folata di vento che mi ridiede l’ossigeno per respirare.
Raccolsi la coperta ben piegata accanto al divano e l’avvolsi intorno alle spalle quasi fosse il suo tenero abbraccio…ma non aveva il suo profumo…il suo calore…niente.
Mi incamminai lenta affondando le scarpe sulla sabbia, mentre il verso dei gabbiani che si rincorrevano in volo, leniva in parte quella morsa di dolore che, come un serpente sulla preda, stritolava sempre più le mie speranze.
Non comprendevo….non riuscivo a farlo.
Quasi fossero carte da gioco pescate da un mazzo immaginario, mettevo le mie paure…i dubbi…ed il sentimento stesso che provavo, uno sopra l’altra e lento ed inesorabile ecco costruirsi nella mia mente un castello, le cui mura avevano circondato la mia anima…facendola ripiombare nella solitudine .
Mi costrinsi a distruggere quelle pareti illusorie e a ritrovare la lucidità, perché l’origine di tali paure era solamente dentro di me.
Sentirmi inadeguata era stata la condanna che fin dall’infanzia mi aveva isolata da tutto il mondo che mi circondava e solo in età adulta avevo compreso che era stata proprio la mia paura a rendermi invisibile agli occhi di tutti…ed ora non potevo ricadere nello stesso errore.
Robert mi amava..non poteva aver mentito su questo…non lo ritenevo capace ..ed io ero follemente innamorata di lui…
Per questo silenzio ci sarebbe stata una spiegazione…dovevo soltanto aspettare e presto avrei scoperto quale fosse.
Punto.
Era da tanto tempo che non me ne stavo sola a godermi il mare…adoravo quel senso di infinito che l’orizzonte mi ispirava e la pace che sapeva infondermi non aveva confini….
 Il respiro lentamente riprese il suo giusto ritmo.
Seduta sulla sabbia e distratta dai miei pensieri non mi ero accorta che lungo la riva un bambino e il suo cane stavano venendo verso di me rincorrendosi e solo quando quel batuffolo peloso mi piombò addosso leccandomi, mi resi conto di non essere sola.
-Ehi palla pelosa...da dove spunti? Vuoi le coccole?...-
Sorrisi lasciando che quel piccolo animale mi leccasse il viso facendomi il solletico.
- Lucky sa essere molto invadente…perdonalo…Su lasciala stare!-
 Il bambino stava cercando di allontanarlo da me prendendolo in braccio, ma il cane non voleva saperne e continuava a guaire tra le mie braccia.
- Gli piaci molto…è evidente, di solito non è così appiccicoso.-
Mani sui fianchi e sguardo deciso, quel bambino mi guardava, dall’alto del suo metro e poco più, con un sorriso che avrebbe conquistato il mondo intero. Vestiva con abiti di fortuna, di qualche taglia più grande..un maglione rosso piuttosto malridotto e nonostante il vento freddo portava un vecchio jeans sdrucito tagliato sotto al ginocchio e ai piedi non aveva nulla.
 Dal colorito della pelle doveva essere portoricano o qualcosa del genere e negli occhi aveva quella profondità che soltanto la gente di colore possedeva.
-           Sei qui da solo?-
-           No, con il mio cane. Lucky non mi lascia mai solo. –
-           E abiti qui vicino? –
-           Dall’altra parte della baia..nel villaggio dei pescatori. Chiamarlo villaggio suona strano da queste parti, ma in realtà è l’unico vero villaggio che c’è. In estate me ne resto lontano dalla spiaggia, ma nella stagione fredda sono io il padrone. –
Si pavoneggiava annuendo ad ogni parola, mentre con i piedi disegnava cerchi sulla sabbia.
-  Io sono Francies…e tu?...-
-  Mi chiamo Joel, ma gli amici mi chiamano Taco. –
-  E io come ti devo chiamare?-
-  Dipende. – Si era seduto di fronte a me incrociando le gambe e con un bastoncino che teneva infilato nella tasca dietro dei pantaloni, cominciò a picchiettare e giocherellare girandolo tra le dita.
-  Da cosa? –
-  Se vivi qui possiamo divertarlo…amici intendo. –
-  Sono soltanto di passaggio …e non so quando tornerò da queste parti. Ma chi mi ospita è il proprietario…conta qualcosa? –
-  Rob è tuo amico? – Rimasi sconcertata nel  sentirlo pronunciare quel nome e scuotendo la testa lo osservai meglio.
-  Lo conosci? –
-  Certo. Lui mi chiama Taco, ci siamo incontrati proprio qui…in questo stesso punto e lui come te se ne stava avvolto nella coperta a fumare la sua sigaretta. –
-  Beh…è una strana coincidenza non trovi? –
-  Da lontano credevo fossi lui…per questo sono arrivato fino a qui. –
-  Mi dispiace allora averti deluso. –
-  Niente affatto…sei più bella di lui. – Scoppiai a ridere a quelle parole.
-  Ti ringrazio …Taco...posso chiamarti così allora? –
-  Direi di sì. -
-  Grazie. – La dolcezza e l’innocenza di quegli occhioni grandi mi sciolse.
-  Perchè te ne stai qui tutta sola? –
-  Avevo bisogno di pensare e il rumore del mare mi aiuta a farlo meglio.
-  Anche Rob aveva voglia di pensare…potreste farlo insieme…così sarebbe meno noioso no?-
-  Mi piacerebbe molto, ma lui non c’è. E’ dovuto partire e domani mattina me ne torno a casa anch’io. –
-  Peccato, ma fa niente….presto lo rivedrò…e rivedrò anche te, stanne certa. – Lo vidi frugare nelle enormi tasche e estrarne una manciata di conchiglie colorate dalle forme più svariate.
-  Ecco tieni. – E mi porse quella più grande e panciuta che oltre ad avere uno splendido color corallo era ricoperta da tante piccole macchioline che ne sfumavano le tinte tenui.
-  E’ bellissima grazie, ma sei sicuro di volerla dare a me?-
-  E’ il talismano del Buon Ritorno. Mia nonna dice che quando regali una di queste conchiglie ad un amico…lui presto ritornerà da te e mia nonna ha sempre ragione su tutto. Ne ho data una anche a Rob, quindi magari tornerete insieme…ti andrebbe? –
Quel bambino stava abbattendo tutti i muri dietro ai quali mi stavo nascondendo e senza nemmeno accorgersene aveva messo a nudo la vera me…e non poteva sapere quale regalo grande mi stesse facendo.
-  Sarò felice di rivederti Taco…non puoi immaginare quanto… e Robert sarà con me, come dici tu. –
-  Bene allora…- si alzò sbattendosi rumorosamente i pantaloni per liberarli dalla sabbia..
-  Devo tornare o mia nonna comincerà a preoccuparsi. Buon rientro a casa Francies e ricordati di me…quando tornerai da questa parti. –
Mi porse la mano ed io la strinsi sentendo che quel ragazzo aveva dato una svolta alla mia giornata.
-  Puoi contarci Taco. Arrivederci a presto allora…e grazie del tuo splendido regalo…lo porterò sempre con me…stanne certo. -
-  Ciao…a presto. -
E richiamando quel giocherellone del suo cane lo guardai allontanarsi di corsa bagnandosi i piedi al  passaggio delle onde che accarezzavano la riva.
 Seguii le sagome dei loro corpi fino a vederli scomparire …e poi stretta nella mia coperta mi costrinsi a rientrare in casa.
Tenni stretta quella conchiglia tutta la notte…e l’indomani …al mattino…feci rientro alla mia vita….

venerdì 27 maggio 2011

Capitolo 44

Capitolo 44 – Robert







L’auto scivolava lenta nel traffico dell’ora di punta portandomi sempre più lontano da Francies…e da tutto ciò che rappresentava per me.
Riflesso sul vetro vedevo soltanto il mio volto contratto…solo…mentre lì fuori il resto del mondo continuava la sua vita senza accorgersi di nulla.
Quanta solitudine doveva esserci dietro quei volti che scorrevano sul marciapiede…ognuno con la sua storia…con le sue debolezze e le sue tragedie…tutte nascoste dietro a grandi lenti di occhiali da sole…unico schermo per occhi incapaci di mentire.
Chiesi all’autista di andare più in fretta…quasi che lasciare la città mi aiutasse a sentirmi meglio, ma sapevo bene che quella sensazione di vuoto sarebbe solamente aumentata e abbassando lo sguardo sospirai giocherellando con le dita…che poco prima avevo affondato tra i suoi capelli e quasi involontariamente li portai vicino al naso accorgendomi di come il suo profumo fosse rimasto impresso…e chiudendo gli occhi pensai a lei……
Quelle labbra mi avrebbero perseguitato per tutto il tempo nel quale sarei rimasto lontano …e la sua risata…la sua mano sul mio viso…..
Come se pensarla fosse diventato improvvisamente troppo doloroso…mi costrinsi a prendere il telefono e a cercare di contattare Lizzy con la quale ancora non ero riuscito a parlare dopo la notizia del malore di mio padre.
Composi il numero e rimasi in attesa…
-           Lizzy ciao….sei già all’aeroporto? –
-           Si…non ce la facevo ad aspettare…tu  dove sei?-
-           Sto arrivando…il traffico è un incubo a quest’ora e non è così semplice. Hai notizie di papà?-
-           Ho chiamato Viky poco fa…dice che si è risvegliato e che nonostante sia ancora sotto osservazione i medici sono positivi….si riprenderà…ne sono certa. – Sospirai di sollievo.
-           Bene dai…sarà felice di vederci tutti insieme. Steve viene con te?-
-           Non mi sembrava il caso…e non gliel’ho nemmeno chiesto. E tu? Sempre col tuo angelo?...Non sei stato carino ieri sera lo sai vero?..Dovrei toglierti la parola per quello che hai fatto.-
Improvvisamente mi resi conto che non avevo ancora chiarito ciò che era accaduto alla festa..
-           Ne parleremo in aereo…siamo sullo stesso volo e avremo modo di discutere di tutto. Ora vedo di sbrigarmi…a dopo Lizzy. –
-           Ok a dopo…ciao. – Gettai il cellulare sul sedile e pensai a mio padre …ai miei genitori…a quello che stavano passando e al fatto di quanto noi figli fossimo ormai lontani dalle loro vite.
   Erano stati meravigliosi con me…dovevo fare in modo che ne facessero parte e mi ripromisi che se tutto fosse andato bene, avrei trovato il tempo di stare con loro più spesso.
Il volo era in ritardo di un’ora e questo mi permise di sbrigare le solite formalità senza sentirmi braccato.
Senza la mia misera valigia, che era rimasta alla villa assieme alla chitarra, mi sentivo spoglio..e le poche cose che avevo con me erano estranee alla mia quotidianità…recuperate in fretta per potermi almeno cambiare prima di presentarmi in ospedale.
Raggiunsi facilmente la saletta privata dove Lizzy mi stava aspettando e non appena mi vide mi corse incontro e mi abbracciò per cercare quel conforto che il dolore della notizia aveva procurato in entrambi.
 La strinsi e lasciai che si sfogasse…era sempre stato così…e il rancore per la figuraccia della sera prima venne messo da parte…
-           Ti hanno detto a che ora partirà il volo?-
-           Mancano pochi minuti ormai…e domattina presto saremo lì.-
-           Papà ha la pellaccia dura…vedrai che quando lo raggiungeremo sarà già in piedi che litiga con le infermiere per il cibo pessimo …lo sai quanto odia l’ospedale.-
-           Già!...Lo ricordo. – E le sfuggì un sorriso.
-            – Adoro quando si arrabbia…è buffo e diventa tutto rosso in viso. Forse diventerai anche tu così, non credi? Il bellissimo Robert Pattinson con la faccia paonazza. –
-           Mi importa poco di essere bello….e sai bene che bello non sono…-
-           Se lo dici tu! Spiegalo alla moltitudine di donne che ti adorano…-
 Le cercai lo sguardo e sorridendo per sollevarle il morale feci la mia battuta ad effetto.
-           Lo farò…stanne certa, una ad una, ma non adesso..- Mi strappò il beannie dalla testa e mi spettinò con l’altra mano.
-           - Ti ci vorrà tutta la vita...Cosa ci troveranno in te…ancora me lo chiedo.-
-           E’ la stessa domanda che mi pongo io tutti i giorni…Altro?-
   La voce dall’altoparlante annunciò il nostro volo e raccogliemmo le nostre poche cose per raggiungere l’apparecchio fermo sulla pista lì accanto. Lizzy continuava a parlare di papà e la assecondai cercando di rassicurarla, fino a quando ci sedemmo ai nostri posti e i motori vennero accesi.
Solo allora mi ricordai che avevo promesso a Francies che l’avrei chiamata non appena fossi giunto in aeroporto ed invece me n’ero completamente dimenticato…distratto dalla preoccupazione per papà e per Lizzy.
Cercai il telefono nella tasca del giubbotto, ma la trovai vuota…presi a tastare ogni possibile altro posto dove potessi averlo riposto…ma niente…il telefono non c’era.
-           Cazzo, il telefono.- Continuavo a frugare ovunque.
-           Che c’è, l’hai lasciato in albergo?-
-           No, ne sono certo. L’ho messo in tasca subito dopo che Francies mi ha scritto il suo numero.-
-           Che sciocca è vero….hai chiamato me poco fa!- Ripercorsi i gesti fatti …
-           L’ho dimenticato nell’auto…cazzo cazzo cazzo. _
-           Calmati…non è la fine del mondo, quando arriviamo a Londra chiami l’agente di sicurezza e te lo fai mettere da parte.-
 Cominciai ad agitarmi sul sedile.
-                     Non ho altro modo di comunicare con lei, come faccio a recuperarlo adesso…si preoccuperà…le avevo detto che l’avrei chiamata prima di partire…- Feci per alzarmi, ma mia sorella fu veloce e mi impedì di farlo.
-                     Ora sta fermo qui…non ti permetterò di perdere l’aereo per una sciocchezza simile…papà è troppo importante…e lei, se ti ama tanto,  capirà!-
     Aveva ragione, ma non poteva capire quanto fosse importante per me sentire la sua voce, soltanto l'idea di far trascorrere la notte senza poterle parlare mi opprimeva.
Sconfortato mi rimisi a sedere, dandomi dell’idiota per la mia sbadataggine.
La voce di Lizzy mi accompagnò per buona parte del volo, fino a quando ,esausta per la stanchezza e per la tensione, crollò  poggiando la testa sulla mia spalla.
Inclinai lo schienale perché potesse riposare più comodamente e le sistemai la coperta che teneva in grembo.
In cabina regnava il silenzio e le luci erano state abbassate, mentre fuori dall'oblò si vedeva soltanto il nulla....oceano immenso.....e cielo senza fine, inghiottiti dal buio.
Non riuscivo a darmi pace per aver mancato alla mia promessa...e soprattutto sentivo lo sconforto di non averla potuta salutare prima dell'imbarco.
Chissà cosa avrebbe pensato...già colma di dubbi com'era...!
Me la immaginai nella grande villa al mare, in piedi davanti alla vetrata ad osservare le fronde delle palme accarezzate dal vento, sigillata nella sua dimora interiore...a porsi mille inutili quesiti su noi....su me.
Non poteva comprendere quale gioia fosse per me averla incontrata e quanto il solo pensarla lontana mi facesse soffrire...ma sapeva che l'amavo ed io ero certo di quanto lei amasse me....o mi illudevo di crederlo...
Strinsi le braccia intorno a me cercando di colmare quel vuoto che provavo, ma fu tutto inutile...in quell'abbraccio mancava lei...il mio angelo.
Qualcuno dietro di me cominciò a tossire e chiamò una delle hostess per avere dell'acqua...non volevo altro che silenzio...e cercai di isolarmi cercando il mio I-pod dentro l'anonima sacca che avevo recuperato per il viaggio.
Frugai nelle tasche e vi trovai un foglio piegato in quattro, ben riposto perché non si sgualcisse .
Lo sfilai...e riconobbi l’elegante ed elaborata scrittura...

“ Dolcissimo amore mio,
Non trovo parole sufficienti per dirti quello che ho provato con te in questi giorni e mi affido quindi alla mia penna…che di solito non mi tradisce mai.
Sono senza fiato al solo pensiero di vederti andar via e dietro a quel sorriso che mi costringerò a regalarti…ci sarà il sordido dolore dell’abbandono che mi stringe il cuore, quasi a soffocarlo.
Ho sorvolato paesaggi che non credevo esistessero ed ho respirato profumi che non potrò mai dimenticare, perché  la tua essenza è come un balsamo per la mia anima…perduta e sola…ora che sei lontano.
Hai risvegliato emozioni che credevo perdute e le hai rese reali…intense…uniche, mi hai fatta volare in alto, oltre le mie paure…e adesso…con te vicino…non ho più timore di nulla.
La tua famiglia è fortunata ad avere un uomo splendido come te a farne parte e sono sicura che tua madre e tuo padre, non potrebbero essere più orgogliosi del proprio figlio..per ciò che è diventato.
Non temere…quando vorrai sarò qui per te, anche se in questa occasione ho lasciato che te ne andassi da solo…era giusto così…e lo capirai da te.
Andrà tutto bene…lo sento.
Volevo che ti portassi un po’ di me in Europa…anche se non è molto…
Abbi cura di te …e del mio cuore… che affido alle tue grandi mani.

                       Ti amo tanto                  
                                      Il tuo Angelo         Francies




Abbracciai quel foglio come il più prezioso dei tesori, respirando a fondo le sue dolci parole…e meravigliandomi di me stesso…piansi di gioia….